Anche se spesso non ci facciamo caso, a Marano viviamo ogni giorno a fianco della storia: è difficile non girare lo sguardo intorno a noi e non trovare una casa, una villa, una chiesa vecchie di parecchi secoli. Ma la storia non è fatta solo di chiese e ville, di monumenti insomma, è fatta anche di gente che si è costruita la propria casetta, che ha coltivato i campi che ha lasciato dispersi qua e là i più diversi segni della propria presenza: strade e viottoli, muri a secco e capitelli, boschi e pinete, alberi d’alto fusto e siepi. Possiamo tranquillamente dire che in Valpolicella non c’è nemmeno un angolino che non sia stato modificato, modellato, dall’intervento dell’uomo.
Infatti la Valpolicella è sempre stata più o meno intensamente abitata, tanto che gli insediamenti più recenti hanno spesso distrutto le tracce dei loro predecessori. Inoltre, mentre per le chiese principali, per alcune ville, si sono conservati documenti scritti o riferimenti certi, dato che le loro vicende sono legate a personaggi importanti o comunque in grado di scrivere e di conservare contratti e altro nell’archivio di famiglia o del convento, per la gente comune esistono pochi documenti, di solito testamenti, contratti agrari, atti di compravendita, comunque poveri di informazioni sui cambiamenti operati dall’uomo nell’ambiente.
Tuttavia, mettendo insieme le scoperte più recenti, anche in zone vicine a noi, è possibile ricostruire un quadro dell’evoluzione del paesaggio, evoluzione che può essere meglio decritta se operiamo secondo una metodologia suggerita qualche tempo fa da Eugenio Turri, il famoso geografo veronese da poco scomparso. Turri dice che per leggere il paesaggio occorre sfogliarlo, cioè togliere man mano gli strati superficiali più recenti e interpretare poi il quadro che rimane.
Se guardiamo la nostra valle e vogliamo seguire i consigli di Turri, per ripercorrere la storia del paesaggio, dobbiamo cominciare a togliere le aggiunte più recenti, cioè i nuovi edifici, sia quelli delle moderne lottizzazioni o delle aree artigianali, sia quelli sorti a fianco o ad ampliamento delle costruzioni più antiche. Se torniamo indietro anche solo a 50 anni fa, il panorama della valle cambia soprattutto nella zona più bassa (e probabilmente in modo meno vistoso che altrove in alcuni comuni vicini) dove, già da 1000 anni gli abitati erano costituiti da una collana di contrade lungo i fianchi della valle e in mezzo qualche casa isolata.
Risalendo la valle, vediamo scomparire il centro di Marano capoluogo, come dimostra la bella cartolina, pubblicata sul libro di Marano, con la vecchia chiesa parrocchiale, immersa nel verde: l’asilo, la vecchia scuola comunale, le altre case che circondano la piazza anno meno di un secolo di vita. Pezza e anche Mondrago non sono cambiate molto nell’ultimo secolo: qualche nuova casa lungo la strada provinciale a Pezza, qualche rustico più o meno antico a Mondrago. A Purano e San Rocco le singole corti erano più staccate fra loro, dato che le nuove abitazioni hanno occupato, come a Valgatara, gli spazi intermedi.
Al di là delle variazioni urbanistiche, quello che è radicalmente cambiato è il ritmo di vita, la densità abitativa, la vivacità delle presenze: oggi intere contrade sono semi deserte, non ci sono bambini, né animali da cortili, nessuno occupa più le semplici panchine di pietra sistemate apposta appena fuori dal portone per conversare con i passanti, per far filò d’estate.
Con i paesi cambiano anche le strade: l’attuale strada provinciale è da diversi secoli la via più importante della vallata, ma, fino al dopoguerra, cioè fino alla motorizzazione di massa, erano molto praticate parecchie strade e stradine secondarie, oggi poco note o dimenticate: a Valgatara ad esempio la strada della Luchina, fra Badin e Villa, del Pontarol fra Cadiloi e Figari, del Monte Gradela fra Pozzo e Paladon; nei dintorni di Marano, quella di Praèle che collegava direttamente Prognol e Canzago, quella di Moropio da Porta a Novaia, la Torta. Più in alto la viabilità era molto diversa, aveva cioè una struttura a ragnatela: c’era sempre una stradina, un viottolo, una mulattiera che collegava una qualsiasi contrada a tutte quelle intorno.
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