Di Valpolicella si sente spesso parlare, si può quasi dire di esserci praticamente di casa, eppure, se ci si pensa, ci si rende conto che si conosce qualche villa, qualche chiesa, qualche paesino, ma sfugge l’insieme, non è sempre così facile cogliere l’elemento caratterizzante. Ciò si spiega con il fatto che la Valpolicella è il risultato di un complesso equilibrio fra elementi diversi: un tessuto abitativo diffuso, ma ben integrato, uno sfruttamento agricolo intensivo del territorio, ma vario e attento a non essere troppo distruttivo, un reticolo di strade perfettamente adagiato sui fondovalle e sui pendii. In passato anche strutture potenti come le ville si sono adattate e integrate: mancano perciò edifici imponenti, quinte scenografiche, ci sono solo viali di cipressi, presenza familiare, e macchie di piante ad alto fusto dei parchi che fungono peraltro da intermezzo verde fra la massa solida del palazzo signorile e il contesto di filari, marogne e alberi da frutto.
Comunque se si vuole capire qualcosa il consiglio è di fare due passi, due, a piedi, lasciando l’automobile sulla strada principale e camminando ad occhi aperti. Qualcuno potrebbe chiamare in causa bici o cavallo, ma questi mezzi richiedono attenzioni speciali per loro e lasciano meno respiro, meno tempo. Il fatto è che ciò che vediamo intorno a noi, magari costruito qualche decennio fa, è stato pensato da gente che andava a piedi, perché lo vedesse qualcuno che avesse il modo di fermarsi poco o tanto, sedersi, osservare.
Prendiamo, ad esempio, un capitello dipinto: le figure della Madonna e dei Santi, o quelle delle animine fra le fiamme del Purgatorio, o dei devoti inginocchiati non ammettono fretta, vanno guardate, quasi con l’idea di verificarne la correttezza iconografica. In verità i capitelli, o le croci, o i grandi alberi agli incroci servivano un tempo come punti di riferimento, di orientamento, un po’ come per noi i distributori di benzina, o i centri commerciali, o gli stadi.
Ovviamente le cose da guardare sono le più diverse, i percorsi possibili infiniti e qualsiasi proposta non può che essere esemplificativa: ognuno si proverà poi a suo comodo a replicare e variare l’esperienza.
Cominciamo da Arbizzano dove il campaniletto d’aspetto romanico, ben visibile su un poggio, è la nostra meta: lasciata l’auto sulla provinciale, si può prendere una qualsiasi stradina, meglio se chiusa dagli alti muri dei broli delle ville, e salire. Si arriva ad un piazzale alberato: il muro più alto è ornato di belle statue settecentesche, in un angolo si trova la chiesa con il suo bel portale gotico finemente scolpito (la chiesa è d’origini antiche, ma più volte rinnovata, e conserva interessanti capolavori: una doppia Crocifissione in pietra, un reliquiario dipinto, una grande pala d’altare, numerose statue, mentre la canonica è forse l’edificio civile più antico dell’intera Valpolicella ).
Novare invece bisogna andare a cercarsela, seguendo, al termine della salita di Arbizzano, l’indicazione stradale: dopo un tratto sterrato si arriva davanti alla scenografica facciata della grande villa Bertani, costruita per conto della famiglia Fattori dal famoso architetto Adriano Cristofali poco più di 200 anni fa e resa celebre dai Mosconi. Il complesso è talmente affascinante che, non potendo entrarci, si deve almeno girarci attorno o salire sulle colline circostanti per ammirare l’ampio parco di grandi alberi con tanto di laghetto: tutta la valletta è percorsa dalle condutture in pietra che raccoglievano l’acqua delle numerose sorgenti per alimentare il laghetto del giardino e le peschiere per il companatico del venerdì. Pur essendo così appartata, la valle di Novare si collega facilmente (a piedi, a cavallo o in mountain bike) e attraverso percorsi tutti suggestivi ad altri luoghi a loro volta punti di partenza di ulteriori itinerari: verso nord si arriva subito alle contrade di Roselle e Roccolo, entrambe accoccolate sul loro cocuzzolo, da cui si può ridiscendere verso San Vito o salire a Montecchio. A Montecchio si può arrivare prendendo direttamente i sentieri in direzione ovest: si raggiungono quasi subito i pianori a monte di Arbizzano, proprio sopra Montericco, e anche da qui si può ridiscendere a valle.
Meno pittoresco, ma altrettanto interessante, è il panorama che si presenta salendo sulla collina che divide Negrar da San Peretto: ci si può arrivare a piedi o da Poiega (che si raggiunge seguendo le indicazioni Giardino di Villa Rizzardi, da non perdere assolutamente: è un giardino da antologia, che accosta e mescola una grande varietà di stili, che affascina per la sua apparente naturalezza e per la sua rustica eleganza) o da San Peretto, salendo dalla piazza parcheggio verso il campaniletto romanico lungo l’ampia scala inerbita. Dopo aver sostato due minuti a godere la serenità del luogo, si sale ancora qualche passo verso ovest finché appare la piana di Negrar, fittissima di edifici, case o capannoni, ma sono costruite anche le colline di fronte: verde cupa rimane la pineta sulla collina di fronte e verde pure l’alta valle, pur con qualche lacerazione di lottizzazioni maldestre o di sbancamenti selvaggi di una moderna, ma stolida viticoltura. Peraltro le villette si scorgono ormai a fatica fra gli alberi ormai alti dei giardini e perfino fra le case a schiera si nota del verde: vuoi vedere che nemmeno a Negrar siamo arrivati all’irreparabile? Se ci si gira verso la valletta di San Peretto (veramente i vai sono più d’uno, tutti figli del grande fianco del Monte Comun), il conforto prende il sopravvento: il manto verde è diffuso e variegato e lascia intravedere i ripidi terrazzamento e un boschetto di pali di pietra. Sono quanto resta della vasta limonaia di Villa Giustiniani a Sorte, anch’essa a due passi da San Peretto.
Altri due passi li merita Prun, con la sua chiesa rifatta nell’800 (però la pala sull’altare maggiore è una bellissima Conversione di San Paolo di Paolo Farinati – 1591) e di fronte la massiccia Villa Salvaterra, ma soprattutto la pietra di Prun, quella che copre tutte le case ed è abbondantemente sparsa per strade e corti, quella che è stata faticosamente sottratta al monte, proprio sopra il paese, lasciando immense e suggestive gallerie, raggiungibili appunto con due passi. È doveroso fermarsi sempre sulla soglia: non si sa mai, i pilastri di questa cattedrale sotterranea sono molto solidi, ma un rischio c’è e per questo le cave in galleria sono state vietate una cinquantina d’anni fa. Le dimensioni delle gallerie sono ancora più impressionanti se si pensa che ogni centimetro di pietra è stato tolto avendo in mano solo scalpello e martello, dei cunei e dei rulli e che proprio lassù, dove oggi vediamo il soffitto, lo scalpellino si ricavava un cunicolo e poi tagliava la roccia con un raggio sempre più ampio per cui i pilastri superstiti si restringono verso il basso. Le cave di Prun sono un vero e proprio monumento alla sacralità del lavoro e andrebbero accuratamente conservate.
La valle di Marano si presenta tutta camminabile: ad ogni incrocio dell’unica strada provinciale si stacca una stradina che porta ad altre strade a mezza costa, oppure direttamente sui crinali da cui è possibile rendersi conto della suggestione di questa piccola, ma quasi intatta porzione della Valpolicella, dove l’urbanizzazione recente è stata molto contenuta e gli stessi interventi di miglioria agraria hanno quasi sempre rispettato l’esistente.
Una visione d’insieme, che si allarga però fino a tutta la Valpolicella e al Lago di Garda, si può avere dal piazzale della chiesetta di Santa Maria Valverde, collocata in bella evidenza quasi sulla cima del Monte Castelon, appena sopra Marano capoluogo: ci si può arrivare agevolmente in automobile, ma vale la pena di salirci invece a piedi da Pezza o da San Rocco e fare il giro del monte su una stradina sterrata costruita un tempo per una famosa processione.
Un altro santuario, più recente, ma altrettanto panoramico, è proprio sopra il centro di Fumane: è il santuario della Salette e ci si può arrivare per una scalinata abbellita da capitelli e dal piazzale si può poi proseguire risalendo il monte anche fino a Cavalo, in un paesaggio che ha molti tratti mediterranei.
Un che di mediterraneo, anzi più precisamente toscano, conservano Castelrotto e i suoi dintorni: le stradine e i viottoli che fra ulivi e cipressi percorrono e aggirano le dolci colline sono un magnifico esempio di paesaggio italiano. Si può partire da ogni slargo e andare dovunque, ne vale sempre la pena. Da non dimenticare la piazza di Castelrotto e la salita al castello: un ampio spiazzo riciclato come campo di tamburello, ma introdotto da un portone fortificato medievale e circondato da un muro antico. Poi ci sono le ville, tutte interessanti, ma assolutamente da citare: Villa Giona a Cengia, Villa Sacchetti a Negarine, Villa Betteloni a Sausto, Villa Amistà a Corrubio, A Corrubio c’è un piccolo – grande gioiello: la chiesa di San Martino, romanica, ma con un’alta cappella gotica, e con notevoli frammenti di affreschi all’interno. Un’altra chiesetta è proprio a Negarine, sull’incrocio, è quella di Ognissanti, ma la più suggestiva è nascosta sotto un cerchio di cipressi, proprio alle spalle del cimitero di Castelrotto: la chiesa di Santa Maria Vallena. Essa è un simbolo doloroso di troppo patrimonio artistico nostrano: la bella scalinata franata, i cipressi pendenti, la chiesetta saccheggiata da vandali stupidi dietro e fuori gridano vendetta, ma i proprietari non hanno risorse e nessuno se ne preoccupa.
Nessuno sembra neppure preoccuparsi delle testimonianze storiche che sono sparse lungo gli argini dell’Adige e che, da Parona alla chiusa di Ceraino, si possono ammirare solo percorrendo ancora la strada alzaia che costeggia il fiume e che un tempo serviva per farci camminare buoi e cavalli impegnati a trascinare a monte le barche. Non serve percorrerla tutta, ma già per brevi tratti, fra Settimo e Pescantina, fra Ponton e Arcé, è possibile incontrare gli alti archi dei condotti che portavano l’acqua sollevata dalle grandi ruote idrovore sui campi vicini. Ci sono pure dei veri e propri gioielli dell’arte: a Settimo Villa Bertoldi, a Pescantina la maestosa chiesa settecentesca ingloba nel suo interno la vecchia chiesa romanica, ora in parte utilizzata come Museo dell’Adige; ad Arcé la chiesetta di S. Michele, a Ponton Villa Nichesola, a Volargne Villa Del Bene. Queste ultime conservano i due bei cicli affrescati del ‘500 veronese: a Villa Del Bene lo scalone, il loggiato e il piano nobile sono affrescati con scene di carattere moralistico biblico, a Villa Nichesola si conservano delle splendide monocromie di Paolo Farinati con la rappresentazione di divinità e temi mitologici.
Un’altra visione di insieme del paesaggio dell’Adige si può avere facendo due passi dal centro del paese di Monte, frazione del Comune di S. Ambrogio di Valpolicella rannicchiata sotto il monte Pastello. Proseguendo a piedi la strada centrale del paese si arriva in breve ai colossali ruderi del forte austriaco, danneggiato soprattutto dai vandali del tempo di pace, qualche altro metro sulla strada militare che raggiunge poi l’altrettanto suggestivo forte di Ceraino (in meno di un’ora a piedi su una stradina tagliata nella roccia e a strapiombo sulla valle) e si spalanca la Valdadige: sotto il fiume che aggira la rocca di Rivoli e accerchia Ceraino, di fronte il forte di Rivoli e più in alto quello di San Marco, più avanti i cerchi scuri delle colline moreniche, lasciate dal ghiacciaio dell’Adige e più lontano ancora il lago di Garda.
Il panorama non manca nemmeno a San Giorgio, già dalla piazza, ma di solito si è molto attenti a quello che quest’antica patria degli scalpellini ci offre di suo: l’impianto medievale del paese, i tesori della splendida pieve. Tuttavia basta risalire un po’ verso Monte Solane per far conoscenza con tutto il mondo dei cavatori: le stradine serpeggianti scavate nella roccia, le cave in galleria, le pareti verticali delle cave in disuso. Monte Solane è poi tutto una galleria, ma ci si deve accontentare di osservarne i primi tratti rimanendo all’esterno.
Il paesaggio delle cave è ancora più impressionante sul Monte Pastello, dove non si scava la pietra in lastre, ma grossi blocchi in marmo rosso o pernice. Periodicamente qualche cava viene rimessa in funzione, per cui la visita va fa in un giorno festivo: lasciata la strada provinciale subito dopo Cavalo, si prende a sinistra una stradina asfaltata e ci si ferma nella prima contrada, Molane. Da lì in qualche centinaio di metri si arriva alla zona delle cave e con la necessaria prudenza si può rendersi conto dell’incredibile lavoro che richiede l’estrazione anche di un solo blocco. Se si vuole chiudere in bellezza l’escursione, si può salire la strada sterrata (con segnaletica CAI) che conduce al monte Pastello e utilizzata per la manutenzione degli impianti delle antenne: da lassù il panorama è a 360 gradi, dalle Prealpi agli Appennini, dagli Iberici al Lago di Garda.
Per chi ama percorsi più tranquilli si consiglia invece di scegliere come base di partenza Breonio: in centro intanto ci sono un’antica fontana e la chiesa di San Marziale, riccamente affrescata, poi antiche corti e malghe. Da Breonio si può partire per passeggiate brevi ma piacevolissime: il monte Crocetta, coperto da una fitta pineta, il Monte Pastelletto, regno delle farfalle e con qualche rudere dei sistemi di sorveglianza del contrabbando di quando (prima della grande guerra) Breonio era Comune di confine; il Monte S. Giovanni, le contrade Paraiso, Casarole, Semalo, sul versante della Valdadige; Gorgusello, con le sue belle case in pietra e poi Molina, dove due passi sono sacrosanti, altrimenti non vale neanche la pena arrivarci in automobile.
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