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Il ciclo dell’anno

L’anno agrario cominciava e finiva l’11 novembre, San Martino, giorno del rinnovo dei contratti agrari e quindi dei traslochi, giorno di paga e perciò di festa per i famigli, ragazzi di povera famiglia a servizio nelle aziende più grandi per vitto, alloggio e poco più. Il mese di novembre era dedicato all’aratura e alla semina del grano, ma il 25, festa di Santa Caterina (martire, patrona dei mugnai), tutti collaboravano alla pulizia delle canalette dei mulini, operazione che si concludeva con cena serale.

Dicembre per i bambini era il mese di Santa Lucia, portatrice di poveri, ma molto attesi regali, il Natale tuttavia era forse la festa religiosa più sentita dell’intero anno: in nessuna casa doveva mancare il presepio, molti gruppi di bambini e ragazzi giravano per corti e contrade a cantare la stella, una serie di canti natalizi (alcuni, molto rari, si sono ben conservati a Molina), che si concludevano con un augurio e la richiesta di un dono (castagne, un po’ di farina o di polenta). Molta attenzione era riservata al pranzo del giorno di Natale, praticamente trascurato era invece il Capodanno: le feste si concludevano la sera dell’Epifania dando fuoco al falò allestito in una radura vicino ad ogni contrada, liberando da sterpaglie e rovi la campagna, e sorvegliato giorno e notte per evitare che qualche burlone di altre contrade lo facesse bruciare prima del tempo.

Un cenno merita l’usanza degli incanti, ancora viva tra Breonio e Molina: vari oggetti vengono messi all’asta alla presenza di tutte le famiglie del paese.

In questo periodo i lavori agricoli si diradavano: dopo la raccolta delle olive non restava che la riparazione o la  nuova costruzione delle marogne (muri a secco dei campi terrazzati), mentre in casa si provvedeva all’uccisione del maiale (far su el porco) con contorno di allegria nella meticolosa preparazione dei vari salumi e alla pigiatura dell’uva da recioto.

L’inverno era comunque la stagione più temuta e non a caso si concentrano qui le ricorrenze dei santi protettori della salute di uomini (Sant’Antonio, 17 gennaio; San Sebastiano, 20 gennaio; San Biagio, 3 febbraio) e animali (San Bovo, 2 gennaio; Sant’Antonio, 17 gennaio; San Valentino, 14 febbraio).

L’attesa della primavera era tale che quasi ogni giorno si esprimeva la conferma di precisi segnali: Sant’Antonio [i giorni si allungano] un passo da demonio; San Bastian (San Sebastiano, 20 gennaio) la viola en man; Sant’Agnese (21 gennaio) le lusertole par le sese (siepi). Ma il giorno delle previsioni era quello di S: Paolo il 25 gennaio (San Paolo dai segni): 12 mezze cipolle, corrispondenti ai 12 mesi, erano disposte prima di sera in fila sul davanzale della finestra con un po’ di sale e al mattino si desumeva l’andamento della piovosità nel corso dei vari dall’umidità delle singole cipolle.

Il carnevale era festeggiato, ma non certo col frastuono di oggi o di altri mondi contadini (anche per la pressione dei parroci, da sempre nemici delle feste e del ballo, al punto di non ammettere alla comunione chi fosse stato sorpreso a ballare): un piatto di gnocchi, le frittelle erano l’unico segnale di festa prima dell’arrivo della Quaresima. Tuttavia qualche traccia di antiche parate di maschere si è conservata: a Cerna ad esempio si ricorda l’arrivo di un corteo di belli (uomini travestiti da ragazze con ricchi vestiti ridondanti di pizzi), aperto da un cavaliere, nella piazza del paese invasa nel frattempo dal carro dei brutti (ragazzi mascherati da animale o in fogge esotiche). Dopo un bel po’ di schiamazzi questi ultimi si ritiravano e tutti si ritrovavano poi in piazza a continuare la festa.

Curiosa, ma da interpretare forse come rito di primavera o presa in giro dei ritardatari, l’usanza di appendere, a mezza quaresima, al campanile del paese gli attrezzi agricoli (aratri, cavalletti, scale) rimasti nei campi.

Molto diffusa la tradizione del ciamar marso (chiamare marzo): gruppi di giovani, per 3 sere, tra fine febbraio e inizio marzo, si urlavano da una contrada all’altra, anche con l’aiuto di grossi imbuti da vino, i nomi di ragazze a cui abbinavano fidanzati, strani o ridicoli le prime sere, almeno probabili la terza sera.

La Settimana Santasegnava la fine dell’inverno: la processione delle Palme con l’olivo benedetto (utilizzato poi per farne crocette da appendere in testa ai filari o per bruciare nello scaldino in pericolo di grandine), il suono della ràcola (raganella) e poi delle campane a festa, le pulizie in casa (fra cui quelle delle catene del focolare, fatta facendole trascinare dai ragazzi per le strade) e infine la gita di pasquetta sulle colline vicine a casa, con uova sode, magari dipinte di vari colori (con edera, ortiche e muscari) erano tutte tappe del trionfo della bella stagione.

Un altro rito primaverile, di antichissima origine e molto radicato, è quello delle Rogazioni, una processione dalla chiesa fino ai confini della parrocchia per la benedizione dei campi: in prossimità delle contrade o delle case isolate venivano allestiti degli altarini con fiori e offerte, di solito uova e vino.

Con la primavera iniziava una lunga stagione di lavoro: ai primi di aprile era l’ora del baco da seta (A San Zen la somensa in sen, cioè il 12 aprile le uova del baco in seno, perché la pezzuola con le uova del filugello era tenuta al caldo per qualche giorno appesa al collo delle donne). Per almeno 5 settimane tutta la famiglia era mobilitata, gli uomini a procurare in quantità sempre maggiori la foglia di gelso fresca, le donne a distribuire la foglia ai bachi, a mantenere puliti i graticci (gli stessi usati per appassire l’uva) dove venivano sistemati i bachi nelle varie fasi della loro crescita, conservare nell’ambiente una temperatura costante (per questo talvolta si usava la cucina, unico locale riscaldato), disporre le sterpaglie (farghe el bosco) in modo che i bozzoli fossero perfetti. A questo punto bastava togliere i bozzoli, liberarli degli strati più esterni (la spelaia, utile solo per cuscini e materassi), bollirli per uccidere i bachi e consegnare il tutto a una delle molte filande: il ricavato era spesso l’unico introito in contante dell’anno agrario.

La mietitura e la successiva trebbiatura erano le operazioni più impegnative, dato che il frumento era il prodotto principale di ogni azienda. Prima della meccanizzazione si mieteva con un falcetto dall’arco allungato (la messora), procedendo affiancati: i mannelli venivano raccolti in covoni (coe de formento) legati con ramoscelli flessibili di nocciolo e poi accatastati nel portico della corte.

In tempi molto lontani, specie per piccole quantità, la trebbiatura avveniva percuotendo le spighe distese nell’aia con un bastone snodabile. I ricordi di tutti sono fermi alla trebbiatura meccanica con le grandi trebbiatrici rosse che occupavano l’intera corte (per farle entrare è stato talvolta necessario abbattere il portone ad arco): il frastuono dei vecchi trattori, il vorticare delle cinghie, l’affannarsi degli uomini nel polverone sono tutti elementi dell’evento più epico dell’annata.

Il resto dell’estate era in gran parte dedicato alla cura del mais: pulire il terreno dalle erbacce, togliere le cime e le foglie superflue, rincalzare le piante. Al momento della raccolta, gli steli erano raccolti in fascine per il camino, le pannocchie erano ammucchiate a seccare sotto il portico: per l’operazione di liberare la pannocchia dalle brattee (spanociar) si radunava il vicinato, la sera, per un filò all’aperto.

La vendemmia era anche in passato un’operazione lunga e faticosa, perciò le aziende più grosse chiamavano in aiuto uomini, ma soprattutto donne e ragazze dell’alta collina (portarine): l’uva veniva raccolta, grappolo per grappolo, in cesti di vimini e poi stesa su graticci, dopo essere stata ripulita degli acini guasti. La presenza delle portarine rendeva più viva la festa e poteva dare origine a fidanzamenti e matrimoni.

La conclusione dell’annata era rappresentata dalla raccolta della frutta, pere e mele in gran parte così dure da poter affrontare tutto l’inverno senza celle frigorifere, o castagne, o noci, ma anche dalle prime arature per preparare per tempo una nuova annata.

Cantar la stella di corte in corte

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Le tradizioni popolari dell’estate

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