Le verdure e la frutta
Terra di orti e giardini, anche per la presenza di numerose ville,la Valpolicellaha sempre avuto abbondanza di verdure, in qualche caso è stata anche fornitrice della vicina città di Verona.
Le verdure di tutti i tipi non erano e non lo sono tuttora, oggetto di particolari ricette elaborate: il valpolicellese le ha sempre considerate semplici complementi al pasto.
Le patate i fagioli, insieme ai legumi, venivano semplicemente lessati e conditi con l’olio e un po’ di prezzemolo; l’inverno era il trionfo dei cavoli, delle verze, dei broccoli, delle rape, dei “naoni, anch’essi lessati o stufati “stoffinè” molto lentamente con uno spicchio d’aglio e un po’ di lardo.
Melanzane, peperoni, pomodori erano cibo “da cittadini” e toglievano nell’orto il sacrosanto posto riservato alle patate e ai fagioli, le uniche verdure considerate come vero e proprio cibo e non stranezze o capricci. Marginale anche la coltivazione del radicchio rosso che oggi ha invaso le tavole e i libri di cucina: se ne coltivava un soltanto piccolo appezzamento.
I radicchi venivano, e tuttora vengono, messi ad imbianchire nelle cantine o nelle stalle, nella sabbia continuamente inumidita, quando “filavano” cioè cominciavano ad allungarsi, si consumavano solo crudi, con olio e pane grattugiato (surrogato del formaggio grana).
Oggi la nuova ristorazione, attenta al territorio, si è rivolta giustamente alle erbe selvatiche e ai germogli di alcuni arbusti: ed ecco apparire le frittate odorose, i tortini di cicoria, i risotti con la silene e i bruscansi (germogli del luppolo), le crêpes ripiene di ortiche, le insalate con il rumex e il crescione d’acqua e l’invadente rucola..
Nel nostro passato e nella nostra terra le erbe venivano raccolte in primavera, (le donne scendevano nei campi ben prima delle rondini a riempire i grombiai di petoloti e radecèle), lessate e condite con un po’ d’olio: erano la cicoria, il tarassaco officinale, le foglie di papavero appena nate, i germogli del luppolo, la valeriana (i molesini), i germogli del pungitopo e, più raramente, la silene vulgaris (i sgrisoloni) e l’ortica tenera.
In autunno le donne di casa, quasi sempre le più anziane, raccoglievano i funghi dei prati (psaliota campetris e marasmius oreades) e gli uomini andavano a “funghi de soca” (armillaria mellea) ma non si perdeva troppo tempo, si conoscevano i posti, gelosamente tenuti segreti ai vicini, si riempiva il cesto quasi furtivamente e via a casa.
In primavera, nei campi coltivati, spuntavano (e qui il passato è purtroppo necessario) le “spondole” (spugnola): finivano sempre in padella con le uova strapazzate e in qualche caso come condimento alle fettuccine.
Se l’orto forniva verdura in abbondanza le donne la conservavano per l’inverno: la salsa di pomodoro che ha invaso le nostre tavole era sconosciuta, i pomodori erano “roba foresta”
3 commenti
Alcune volte il giovedi mattina in piazza isolo presso la bancarella di Ca’ Magre ho comperato i naoni biologici di loro produzione.
Dopo lunghe e inutili ricerche nei negozi che vendono i semi, finalmente ho trovato qualcuno che parla dei “NAONI”.
Sapete per caso chi mi può fornire dei semi?
I NAONI fanno parte dei miei ricordi di oltre 50-60 anni fa. La mia mamma li lessava per poi saltarli in padella con olio e aglio.
Occasionalmente faceva una meravigliosa minestra.
Grazie e scusate il disturbo.
Luigi Pellegrini
Sant’Ambrogio di Valpolicella
Sono le cosiddette “verze naone” qualcuno ha ricominciato a piantarle. All’antica fiera del Rosario a Breonio, in ottobre, si possono trovare sicuramente.