La Valpolicella, più che una valle, è un ventaglio di piccole valli, digradanti verso sud sulle colline alle spalle di Verona. Favorita da un ottimo clima, dalla dolcezza del paesaggio e dalla presenza di diffuse sorgenti d’acqua,la Valpolicella è sempre stata intensamente abitata, fin dai tempi più remoti, ed è stata scelta a partire dal Rinascimento come luogo di villeggiatura di molti nobili veronesi e veneziani, che vi hanno costruito eleganti ville circondate da giardini e parchi, le cui masse scure, chiuse dai muri dei broli, sono ben evidenti al di sopra del mare dei vigneti e dei ciliegi.
Anche se l’urbanizzazione degli ultimi decenni ha riempito i fondovalle di quartieri residenziali e di aree artigianali, basta spostarsi di qualche centinaio di metri per ritrovare gli insediamenti tipici della Valpolicella: le ville, appunto, le corti rurali, le case isolate, magari col loro cipresso e, più in alto, le piccole contrade tutte in pietra con le case ben allineate al sole.
Ben visibili, soprattutto ad inizio primavera e ad autunno, le residue zone a bosco ceduo sui pendii più ripidi, nei vaj, le vallette scoscese percorse dai molti torrenti; mentre le sommità delle colline sono a volte occupate dalle macchie scure delle pinete di pino austriaco, frutto di maldestri rimboschimenti a cavallo dell’ultima guerra.
Il paesaggio agrario
Nel corso dei secoli l’introduzione di nuove colture e di nuovi stili di vita ha modificato paesaggio agrario o struttura delle abitazioni, cercando però un equilibrio con la tradizione, per cui, con un po’ d’attenzione, è possibile “leggere” sul terreno le successive stratificazioni della storia.
Nei secoli passati non sono state rade le “rivoluzioni”: le diverse rotazioni agrarie, l’estensione del seminativo, anche grazie al mais, con conseguente espansione dei terrazzamenti a marogne, l’introduzione del gelso per l’allevamento del baco da seta, l’enorme sviluppo dell’allevamento bovino da metà ‘800 nell’alta collina, con l’incremento delle aree a prato e la costruzione di stalle e fienili.
La modernizzazione dell’agricoltura del dopoguerra ha invece “specializzato” il territorio in rapporto all’altitudine la fascia più vicina all’Adige è riservata alla frutticoltura, soprattutto pescheti; la zona pedemontana e della bassa collina è dedicata al vigneto, con l’inserimento di non ampie, ma ben visibili e ben curate, aree ad uliveto; l’alta collina è sede del ciliegeto, il quale, a partire dai filari dove era inframmezzato alla vite, ha occupato prati e pendii un tempo a bosco, ma, soprattutto in primavera, è facile notare anche altra specie arborea, come albicocchi o susini; più in alto ancora abbiamo prati e pascoli, ancora ciliegi e boschi di castagni.
I segni minori del paesaggio agrario
Tuttavia ciò è avvenuto senza cancellare del tutto i segni dell’agricoltura tradizionale: sono stati rispettati i terrazzamenti con muri a secco.Qua e là rimangono anche alcuni alberi lungo i filari di vite, a testimonianza di quando servivano come sostegni vivi. Ma si possono vedere anche i gelsi, gli alberi di noce, nel prato vicino a casa; c’è a volte anche un fico e il cipresso fa bella mostra di sé in molte corti.
Inoltre si possono vedere ancora le vasche in pietra, dove si preparava il verderame, i casotti, sempre in pietra, per il ricovero degli attrezzi, qualche “ròccolo” per la caccia, le scale sporgenti per collegare le terrazze più ripide e perfino qualche edicola sacra e le croci di legno in testa ai filari. Più a monte sono fatte di pietre piantate nel terreno i letamai, le recinzioni dei campi e i pali di sostegno della vigna nell’orto.
A fianco di una piccola conca, esposta a nord e seminascosta nel terreno, è rimasta ancora qualche ghiacciaia, un serbatoio cilindrico con le pareti di pietra dove d’inverno si ammassavano grossi blocchi di ghiaccio che nelle notti estive venivano portati nelle case signorili e negli alberghi di Verona.
Altro edificio caratteristico, collocato ai margini delle contrade dell’alta collina, è la malga, dove veniva raccolto e lavorato, a turno dai vari soci, il latte di tutta la comunità: è di solito diviso in due locali, in quello esposto a nord o interrato si depositava il latte per ricavarne la panne per il burro, nell’altro con un ampio camino, si produceva il formaggio.
Il paesaggio del vigneto
Anche per quanto riguarda l’aspetto della sua coltura più tipica, il vigneto,la Valpolicella ha mantenuto ed anzi ampliato la tradizionale variabilità, che è stata poco o niente toccata dai massicci reimpianti iniziati circa un secolo fa, in seguito al passaggio della fillossera.
La diversa conformazione del terreno, la sistemazione secolare del campo, le intenzioni colturali e le scelte tecniche del vignaiolo, lo spezzettamento delle proprietà disegnano ancora oggi fisionomie e geometrie non uniformi. C’è chi ha avuto cura di conservare e rinforzare le vecchie terrazze e i muri a secco di sostegno, rinunciando a spianare i pendii e a ritagliare grossi ciglioni, chi ha avuto cura di contenere lo sviluppo vegetazionale delle viti, lasciando più ampi spazi all’aria e al sole; c’è chi ha adottato immediatamente comodi pali di cemento, chi ha mantenuto in legno almeno i traversi.
Mentre poi compaiono sulle testate i primi cespi di rose, sui campi più marginali della collina sopravvivono vecchi filari segnati dalla presenza di frassini o più raramente olmi, un tempo utilizzati come sostegni vivi. C’è ancora qualche vite allevata a festone, con un unico lungo tralcio mentre è praticamente scomparsa la vigna della corte, d’uva lugliana, in grado di ombreggiare l’intera famiglia e di assicurare frutta fresca per tutta estate.
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